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Fassino (Presidente Commissione Affari Esteri della Camera) su “Repubblica”: “L’UE apra finalmente le porte ai Balcani”

“Dobbiamo sperare che la Russia ci invada perché l’Unione europea ci apra le sue porte?”. Sono parole rivoltemi qualche settimana fa da un diplomatico balcanico che bene rappresentano la frustrazione maturata nei Balcani occidentali di fronte alla esasperante lentezza – complici le reticenze e le miopie di non poche capitali europee – imposta dall’Unione Europea al processo di allargamento, che in realtà fu promesso all’indomani della pace di Dayton nel 1995 e formalmente assunto con il Consiglio europeo di Salonicco del 2003. Una lentezza che in questi anni ha prodotto non solo frustrazione, ma anche crescente invasività di altri attori – Cina, Russia, Turchia, Emirati – e rallentamento delle riforme a cui i Paesi candidati devono attendere per adeguarsi agli standard europei.

L’aggressione russa all’Ucraina, cambiando radicalmente lo scenario europeo, ha obbligato la Ue finalmente a superare reticenze e ambiguità e a poche settimane dal riconoscimento a Ucraina e Moldavia – e in futuro alla Georgia – dello status di candidato sono state finalmente convocate le Conferenze intergovernative per l’avvio dei negoziati di adesione di Albania e Macedonia del Nord, che si affiancano così ai negoziati già avviati con Serbia e Montenegro. E a cui è urgente che segua il riconoscimento di “candidato” alla Bosnia e una road map europea per il Kossovo. Scelte che per essere efficaci e corrispondenti alle esigenze di stabilità e sicurezza richiedono di essere adesso percorse con passo rapido e in tempi certi.

Scelte che l’Italia ha sostenuto con determinazione con un impegno stante del governo e il sostegno unanime del Parlamento, con la consapevolezza del carattere strategico dei Balcani occidentali negli equilibri dell’Europa e del Mediterraneo.

Sì, perché quelle decisioni di allargamento non sono una gentile concessione, ma una necessità per la sicurezza e la stabilità dell’Europa intera. Con l’aggressione all’Ucraina, Mosca ha di fatto disdetto gli Accordi di Helsinki e i suoi principi di intangibilità delle frontiere e della integrità territoriale di ogni Stato, non uso della forza nella risoluzione dei contenziosi, pieno rispetto di indipendenza e sovranità di ogni nazione.

Principi che sono stati sostenuti da Mosca con la riedizione della dottrina della “sovranità limitata” a cui devono sottomettersi i Paesi vicini. Imposizione a cui sono esposte in particolare le regioni dell’Europa orientale, ai confini esterni dell’Ue, dove non a caso sono esplose le uniche guerre conosciute in Europa dalla fine del secondo conflitto mondiale e cioè nel Caucaso, nei Balcani, in Ucraina. Conflitti che non solo sconvolgono i Paesi direttamente coinvolti, ma che rappresentano un’insidia per la stabilità e la sicurezza dell’intero continente. Dal che discende che l’integrazione di quelle aree nell’Unione europea è una scelta strategica indispensabile per sottrarre quei Paesi alla instabilità e ai conflitti e rafforzare la sicurezza di tutta l’Europa.

Ben lo ha compreso la Nato che in questi anni, mentre la Ue tergiversava, ha aperto le sue porte a Albania, Montenegro e Nord Macedonia, offrendo loro così un ombrello di sicurezza e rafforzando il fianco sudorientale del continente.

Insomma: si tratta di decidere finalmente se avere i Balcani occidentali pienamente integrati nell’Unione europea e nelle sue politiche – dalle scelte di investimento e crescita alle politiche sociali, dalle strategie di politica estera e di sicurezza alle politiche migratorie e agli standard dello stato di diritto – oppure se tenerli sull’uscio di casa, in un limbo permanentemente esposto al rischio di nuove crisi e conflitti. E nei nuovi assetti geostrategici disegnati dal conflitto ucraino, si tratta di decidere se consegnare il destino dell’Europa orientale nelle braccia di Mosca o di Pechino oppure scegliere, senza inutili reticenze e con determinazione, di proseguire l’unificazione del continente intorno ai valori di libertà, democrazia, diritti. E così rafforzare la sicurezza, la prosperità, la crescita dell’intera Europa.